martedì 20 novembre 2007

Nonne Papere at Work: ZUPPA FAVE E CICORIA

Ecco qui il contributo odierno. Arriva da Carla, mia ex collega (due volte ex collega: prima l'Unità poi Diario).

Cara Mari, giusto per risponde alla sfida con il senso di competizione che ci è proprio eccoti una ricetta terronissima in risposta alla torta di noci: me l'ha preparata un'amica pugliese e me la ricordo come un ottimo ben venuto , ma non so come scrivere dentro il tuo blog, o meglio forse dal computer di lavoro proprio non posso entrarci perciò la mando a te.

E' la zuppa di fave e cicoria. Se trovi cicoria (alias catalogna)saporita e olio di prima qualità è una delizia. Si fa così: mezzo chilo di fave secche spezzate (quelle senza buccia) in una pentola d'acqua per tre quarti d'ora fino a che non si spappolano, poi le fave si passano e si condiscono con sale pepe e olio (volendo fare una cosa più esotica si può provare a mettere cumino o noce moscata) nel frattempo si fa bollire la cicoria che poi si ripassa in una padella con aglio. Si serve il passato in una scodella e la cicoria in un piattino a parte o a scelta si aggiunge all'ultimo alla zuppa.

Ps: aprire le finestre dopo aver cotto le fave che puzzano più del cavolo assicurarsi che chi mangia la zuppa non sia malato di favismo

giovedì 15 novembre 2007

Nonne Papere at Work:TORTA DI NOCI E DATTERI

Con questa si arriva in cima al Monte Bianco, oppure alla taglia 52 (direttamente e senza passare dal via).
La ricetta è della mia amica Monika.

Lavorare 100 grammi di burro con 250 grammi di miele e una bustina di zucchero vanigliato. Aggiungere 3 uova intiere, 3 cucchiaini di lievito e 150 grammi di farina, infine 150 grammi di noci e 200 grammi di datteri tagliuzzati. Mettere in una teglia rettangolare e cuocere a 180 gradi per 40-50 minuti. Poi glassare con 250 grammi di zucchero a velo impastati con 3-4 cucchiai di succo di limone. Tagliare a quadretti, lasciar raffreddare, pappare!

martedì 13 novembre 2007

Esercizi di stile per prof e badanti

La mia amica Robi, nota come la "brontolona di Voghera" (ma brontola sempre per nobili ragioni e se fossero tutti come lei il mondo sarebbe un posto magari faticoso – uffa, sempre mettersi le pattine! – ma molto migliore, ha mandato questa noticina..



Esercizi di stile
Capisco tutto: il sempre troppo esiguo spazio in pagina che può indurre ad una sintesi talvolta eccessiva o esageratamente semplificata di una conversazione ben più articolata, la volontà di calcare un poco la mano su taluni concetti per destare l’attenzione di lettori spesso frettolosi e poco attenti, la “svista” del cronista che si trova a confezionare un pezzo in fretta e furia a pochi minuti dalla chiusura … Ma nulla di tutto ciò mi pare basti a giustificare il “registro” della conversazione con il professor Arturo Dell’Acqua Bellavitis (direttore del Dipartimento di Industrial Design del Politecnico di Milano), apparsa il 13 novembre sulle pagine milanesi del quotidiano “La Repubblica”e intitolata “I docenti in coda con le badanti in questura”.
Esordisce così Dell’Acqua Bellavitis: “E’ una follia che professori, dottorandi e studenti vengano trattati come l’ultimo immigrato che viene in Italia a fare le pulizie”. E dopo aver accennato ai problemi burocratici e dichiarato il pessimo funzionamento delle ambasciate all’estero ribadisce come per ottenere i necessari visti di soggiorno “…i ricercatori devono fare le notti in coda davanti alla questura come una qualunque badante”. Sono tempi questi in cui il linguaggio andrebbe forse un po’ più sorvegliato, perché le ottime ragioni che l’autorevole docente sostiene in merito alla necessità che le Università promuovano e intrattengano sempre più ampie relazioni internazionali non paiono trarre giovamento alcuno dalla inopportuna, e financo gratuita, discriminazione classista che le accompagna. A costo di sembrare ipersensibile, a frasi simili non riesco ad abituarmi: io mi indigno. Lo schifo delle notti in coda davanti alle questure è un oltraggio alla dignità di uomini e donne, indipendentemente dal lavoro che si apprestano a svolgere nel nostro paese. E non è raro trovare, in quelle file, ma anche negli ancora più sfortunati clandestini che approdano sulle nostre coste, persone provviste di gradi di scolarità e cultura superiori a quelli della nostra media nazionale.
Il rispetto dovuto ai nostri simili non può essere subordinato né alla loro provenienza geografica, né al censo o al ruolo sociale. Non posso sapere se il pensiero del professor Dell’Acqua Bellavitis è brutto di suo o se sia stato sciaguratamente mal confezionato dall’intervistatrice. Auspico per una prossima occasione un migliore stile e, certo, una miglior sostanza.
Roberta Migliavacca - A.N.P.I Voghera

domenica 11 novembre 2007

Nonne Papere at Work (dolci)

Propongo di utilizzare questo post per la condivisione di ricette. Mi raccomando, datevi da fare, altrimenti non ci viene abbastanza cellulite e non riusciamo ad arrivare alla taglia 50.

Comincio con la ricetta della TORTA DI ARANCE che ha un sacco di pregi: va bene per i celiaci, non contiene burro e non ti si ferma nella strozza dopo le gite, perché è morbida e succosa.

Si prende un'arancia grossa (o due piccine, secondo me a esagerare non si sbaglia), rigorosamente biologica. La si fa bollire tutta intera finché non è morbida, poi la si frulla, togliendo solo i semi.
Intanto si sbattono 250 grammi di zucchero con 6 rossi d'uovo, per bene. Poi si aggiungono a questi 250 grammi di mandorle macinate a farina (più delicato) oppure 250 grammi di nocciole tostate e ridotte in farina (più gustoso) oppure 250 grammi di fiocchi di cocco essicato (più libidinoso ancora). Poi si incorporano la poltiglia di arance, e i 6 bianchi montati a neve ferma con il pizzico di sale.
Si prende una tortiera non troppo grande, la torta deve riuscire abbastanza spessa, tanto non c'è farina quindi se resta umida al centro va bene, anzi meglio. Forno a 160-180 gradi, una quarantina di minuti ma dipende dal forno. Fredda è molto buona.

sabato 10 novembre 2007

Un altro Attimo Fuggente

I meccanismi editoriali seguono regole davvero imperscrutabili, a volte. Chissà perché, per esempio, i ragazzini italiani (e i loro genitori) non sono considerati adatti a leggere uno dei romanzi migliori di una scrittrice peraltro piuttosto nota anche da noi, l'adorabile e purtroppo defunta Paula Danziger. Uscito nel 1974, nel mondo anglosassone si continua a leggerlo, amarlo, ristamparlo. Da noi nisba. Piemme ha comprato e tradotto la serie di Ambra Chiaro, ma "The cat ate my gymsuit" è ancora lì, negletto. Un gran peccato, per un romanzo divertente, commovente, coraggioso, che tocca temi quasi "eterni". La storia è ambientata in una scuola americana, la protagonista è una ragazzina quieta e grassoccia che vive come un incubo l'ora della piscina, che abita con una madre timida e sottomessa e un padre arrogante e tradizionalista. Un'esistenza sottotono, finché a scuola non arriva una nuova insegnante di inglese, una tipa strana e tosta, che dice cose nuove: che insegna ai suoi ragazzi ad amare la letteratura, che si rifiuta di salutare – al mattino – la bandiera. Il corrispettivo femminile di Robin Williams, insomma. Scoppia lo scandalo: che razza di insegnante è mai questa, che non ama la bandiera e gli onori militari? E in mezzo alle prevedibili reazioni conformiste e pavide (chi l'ha detto che i bambini sono anticonformisti?) c'è chi trova il coraggio, finalmente, di difendere un'idea e di aprire una bocca tenuta chiusa per vergogna. L'amore per la libertà si rivela più forte della paura di essere grassi, di essere donne, di restare fuori dal branco....
Evabbè, chissà che prima o poi anche il nostro mercato...

venerdì 9 novembre 2007

Grazie, David

Non posso dire che l'israeliano David Grossman sia uno dei miei scrittori preferiti, anche se ho trovato sublimi le prime cento pagine di "Vedi alla voce: amore". La sua attenzione alla psicologia dei personaggi nei romanzi lo rende spesso ossessivo, difficile da leggere, faticoso. Ma mi è sempre piaciuto come giornalista e come uomo, per i suoi reportage limpidi, per quella sua aria da secchione un po' timido (quasi woodyalleniano), per la sua tenerezza di padre. Trovo che le sue storie per bambini siano meravigliose. Dai "racconti di Itamar" – la Mondadori ne ha pubblicati parecchi, anche sotto forma di raccolte – emerge una dimensione paterna fatta di poesia, di comprensione delle paure, di rispetto. Come se Grossman fosse un papà un po' mammo e un po' bambino.

Qualche giorno fa David Grossman ha compiuto un gesto che ho apprezzato, rifiutandosi di stringere la mano del primo ministro israeliano Ehud Olmert. A Grossman stavano consegnando il premio Emet, uno dei principali riconoscimenti letterari nazionali. Si sa come vanno queste cerimonie, l'etichetta prevale sulle posizioni politiche. Grossman e Olmert avevano avuto l'anno scorso uno scontro formalmente educato, ma durissimo nella sostanza. Il primo ministro aveva tentato di liquidare le critiche di Grossman alla politica israeliana come le parole irrazionali di un padre affranto per la morte del primogenito Uri – caduto in Libano – e non come quelle di un rigoroso e lucido militante per la pace.

L'altro giorno, silenzioso e riservato come sempre, Grossman ha tirato dritto sul palco. Niente gesti eclatanti, niente voci alzate. Solo una stretta di mano negata, ma davanti al Paese intero.
Penso che Itamar possa essere orgoglioso.

giovedì 8 novembre 2007

I blog non mi piacciono. Mi ricordano i temi che mi dava la professoressa: "Parla di un argomento a piacere". Di fronte a tanta grazia, colta dalla sindrome di Stendhal, non riuscivo a scrivere neppure mezza riga. Oggigiorno però se non hai un blog non sei nessuno. Già non ho più un lavoro fisso – dopo venti e passa anni, un bello choc –, non ho più un partito di riferimento – dopo trent'anni, un bello choc –, almeno un blog ce lo potrò avere?
Spero solo che ci scrivano gli altri.
Io parlerò ogni tanto di gite in montagna, di ricette, di libri. Di politica no, perché mi vien male. Delego, ok?
Buona notte, intanto